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 OMEGA 3, MITI E VERITA'

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MessaggioTitolo: OMEGA 3, MITI E VERITA'   OMEGA 3, MITI E VERITA' Icon_minitimeMar Mag 12, 2015 6:01 pm

OMEGA 3, MITI E VERITA' Omega310

OMEGA 3, MITI E VERITA' - BENEFICI E CONTROINDICAZIONI

Idea √ Cosa sono gli Omega 3
Idea √ Omega 3 benefici
Idea √ Alimenti ricchi di Omega 3
Idea √ Effetti collaterali e controindicazioni
Idea √ Omega 3: olio di pesce
Idea √ Nuove ricerche, Omega 3 vegetali
Idea √ Cosa fare in merito all’assunzione di Omega 3?
Idea √ Riflessioni personali



Cosa sono gli Omega 3


Gli Omega 3 chiamati anche PUFA n3 (dall’inglese Polyunsaturated fatty acids - PUFAs) sono acidi grassi polinsaturi noti per il loro ruolo fondamentale di mantenimento e integrità delle cellule.
Grassi o Lipidi sono costituiti principalmente dai trigliceridi e rappresentano il 95% dei grassi corporei.
In base alla concentrazione di acidi grassi saturi o diversamente insaturi, i lipidi semplici possono essere allo stato solido o liquido a temperatura ambiente.
I grassi saturi sono tipicamente animali, come il burro. Fanno eccezione i pesci, in particolare quelli che abitano i mari freddi, che invece sono ricchi di grassi polinsaturi (Omega 3). La spiegazione è molto semplice: il grasso sottocutaneo che riveste questi pesci ha una funzione di termoregolazione.
Se alla temperatura ambientale vicina allo 0°C, il grasso diventasse solido, non sarebbero più in grado di nuotare e diventerebbero rigidi.
Ecco che madre natura ha pensato al miglior sistema: i grassi insaturi formano una massa gelatinosa, morbida ed elastica anche alle temperature più rigide, permettendo ai pesci di muoversi agilmente.
Il mondo vegetale invece è ricco di grassi polinsaturi, sotto forma di oli allo stato liquido.
La funzione principale dei trigliceridi è fornire energia all’organismo, circa 9 Kcal per ogni grammo.
Essi, inoltre, forniscono gli acidi grassi necessari alle varie funzioni metaboliche.

Esistono molti tipi di acidi grassi polinsaturi, ma soltanto due meritano particolare attenzione da un punto di vista nutrizionale:
√ acido linoleico o LA
√ acido alfa-linolenico o ALA
Sono questi gli acidi grassi “essenziali” (o AGE), cioè che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare autonomamente, ma deve necessariamente procurarsi con l’alimentazione.
Quando assunti attraverso il cibo, questi due acidi grassi (LA e ALA) vengono convertiti grazie a particolari enzimi in altri acidi grassi polinsaturi com appunto i PUFA.
Quindi, per merito degli interventi enzimatici si formano le rispettive serie di acidi grassi, che si differenziano in base alla posizione del primo doppio legame.

Questi acidi grassi polinsaturi appartengono a due principali categorie:
√ Omega 3 se derivano dall'acido alfa-linolenico (ALA).
√ Omega 6 se derivano dall'acido linoleico (LA).
I termini “Omega 6" e “Omega 3" si riferiscono alla posizione del primo doppio legame rispetto alla porzione metilica (terminale) della molecola; non è quindi un caso che nella loro nomenclatura rientri la sigla Omega, che rappresenta l'ultima lettera dell'alfabeto greco.
Quindi negli Omega 6 il primo doppio legame è tra il sesto ed il settimo atomo di carbonio a partire dal gruppo metilico; negli Omega 3, invece, tra il terzo ed il quarto carbonio, sempre a partire dall'estremità metilica.
Invece l’acido arachidonico (il precursore di prostaglandine) è sintetizzato dall’acido linoleico (LA), la sua funzione è quella di stimolare la contrattura delle cellule muscolari modulando le risposte delle cellule in base a differenti stimoli esterni.

Gli acidi grassi più importanti del gruppo Omega 3 sono tre:
√ l’acido α-linolenico (ALA)
√ l'acido eicosapentaenoico (EPA)
√ l'acido docosaesaenoico (DHA).
Questi tre possono essere raggruppati in due forme completamente differenti e con caratteristiche diverse:
√ gli ALA (Omega 3 a “catena corta”) si trovano nei vegetali, in verdure a foglia verde e più abbondantemente in noci e semi.
√ gli EPA e i DHA (Omega 3 a catena lunga) si trovano nei prodotti ittici, nelle alghe e nelle uova fatte da galline alimentate con una dieta ricca di pesce.

Il corpo umano ha bisogno di EPA e DHA essenzialmente per le cellule, il cervello, il sistema immunitario e tutte le funzioni metaboliche.
Alcuni piccoli studi clinici hanno suggerito che l’uomo può convertire solo piccole percentuali di Omega 3 EPA e DHA necessari per la propria salute dagli Omega 3 ALA provenienti da alimenti vegetali, di conseguenza questi ricercatori d’accordo con le autorità sanitarie hanno reputato più intelligente ottenere EPA e DHA direttamente tramite l’assunzione di pesce.
Per queste ragioni la FDA ha approvato l’assunzione di Omega 3 soltanto dagli alimenti o integratori che contengono EPA e DHA o solamente DHA, inoltre ha autorizzato i produttori di latte ad arricchirlo di Omega 3 DHA.
Probabilmente è questo il motivo per cui la maggioranza dei nutrizionisti allineati con le autorità sanitarie, promuovono diete a base di pesce sostenendo che sia l’unica maniera per ottenere benefici dagli Omega 3 (EPA e DHA).
Il dubbio che solamente i prodotti ittici potessero fornire all’uomo gli EPA e DHA, si evidenzia analizzando i risultati clinici di adulti che sono cresciuti osservando una dieta strettamente vegana.



Omega 3 benefici


Gli Omega 3, come altri acidi grassi, sono molto importanti per alcune funzioni del nostro organismo:
√ entrando a far parte della membrana cellulare aiutano a mantenerne l’ossigenazione e l'integrità.
√ rendendo il sangue più fluido regolando l'aggregazione delle piastrine
√ controllo del livello plasmatico dei lipidi, soprattutto dei trigliceridi.
√ mantenendo fluide le membrane cellulari, e dando elasticità alle pareti arteriose aiutano il controllo della pressione arteriosa.

Gli effetti benefici legati alla protezione del cuore e di tutto il sistema circolatorio risalgono a studi degli anni ’70.
Per esempio furono studiati gli "Inuits" una popolazione eschimese che seguiva un’alimentazione basata sopratutto sul pesce proveniente dalle coste della Groenlandia e del Giappone.
Dalle ricerche effettuate in quegli anni studiando la dieta degli Inuits, emerse un'incidenza particolarmente bassa di malattia all'apparato cardiovascolare, quindi si pensò che tale caratteristica fosse da imputare al consumo di pesce.
Potrebbe tuttavia non essere tanto il consumo di pesce ad evitare problemi cardiaci agli Inuits, ma la mancanza nella loro dieta di carne rossa.
Recentemente alcune ricerche si stanno focalizzando sugli Omega 3 anche nell'ambito della nutrizione neonatale.  Alcuni “esperti” sostengono addirittura che un'introduzione adeguata di Omega 3 potrebbe essere utile per favorire lo sviluppo dei bambini.
Altri studi preliminari evidenziano effetti antinfiammatori  degli Omega 3 anche su patologie intestinali come il morbo di Crohn.
Uno degli studi che viene citato spesso a favore dell’utilizzo di omega tre per ridurre problemi cardiaci fu pubblicato sul "The Lancet" nel 1999. Questa ricerca effettuata su 11324 pazienti colpiti da infarto miocardico, dimostrò che la somministrazione di un farmaco a base di Omega 3, poteva ridurre la mortalità legata a questa patologia.

Altri vantaggi offerti dagli Omega 3 sembrano essere:
√ riduzione infiammatorie poiché diminuiscono la concentrazione nel sangue di proteina C reattiva e di Interleuchina (considerate le proteine responsabili dell’infiammazione).
√ rendendo il sangue più fluido grazie alla riduzione dei trigliceridi, gli Omega 3 aiutano a diminuire la pressione sanguigna e quindi la formazione di placche aterosclerotiche, che sono responsabili di ictus e infarti.
√ contrastando gli stati infiammatori sembra che riducano il rischio di tumori.
√ rendendo le cellule nervose più fluide e facilitando così la loro interazione, stimolerebbero la memoria e la concentrazione.
√ rallenterebbero i processi degenerativi del cervello e favorirebbero il processo di autoriparazione delle cellule nervose.
√ agevolerebbero anche il buon funzionamento della retina.
√ ridurrebbero il rischio di parti prematuri poiché contrastano la produzione di prostaglandine ritenute responsabili delle contrazioni uterine.
Questi sopraelencati vantaggi imputati agli Omega 3, si riferiscono a ciò che pensa la maggioranza della medicina classica e della nutrizione ufficiale. Più avanti vedremo come tali caratteristiche non siano del tutto veritiere, o meglio se lo sono, si riferiscono agli acidi grassi LA e ALA e non agli Omega 3 introdotti con la dieta o tramite integratori.



Alimenti ricchi di Omega 3


Informazione o pubblicità?
Si parla molto di Omega 3 in trasmissioni televisive o su riviste come di componenti salutari dei nostri alimenti, ma pochi spiegano con precisione cosa siano realmente, che benefici forniscano al nostro organismo e dove si trovano.
Intanto vediamo che altri acidi grassi importanti come l'acido gamma-linolenico o GLA, l'acido diomo-gamma-linoleico o DGLA e l'acido arachidonico (AA), oltre a poter essere sintetizzati nell'organismo, si possono assumere anche tramite il cibo.
Per esempio si trovano fonti di omega-6 negli gli oli di semi, nei legumi e nella frutta secca.
Per quanto riguarda i principali derivati omega-3, gli EPA e DHA la maggiori fonti sono i pesci dei mari freddi e l'olio ed i semi di lino.
Esistono anche integratori di Omega 3 venduti nelle farmacie sotto forma di capsule, che però vanno assunte solo sotto il consiglio del medico curante.

Omega 3 e 6 sono in stretto rapporto tra loro
Gli Omega 6 e gli Omega 3 sono in competizione tra loro poiché usano gli stessi enzimi coinvolti nella loro desaturazione (desaturasi). Quindi un’assunzione eccessiva
di Omega 3 può compromettere la formazione degli Omega 6 a partire dall'acido linoleico (LA) e viceversa.
Nella tipica dieta occidentale, il rapporto tra Omega 6 e Omega 3 è di 10:1, mentre dovrebbe idealmente essere di 6:1. É per questo motivo (riequilibrare il rapporto tra Omega 6 e Omega 3) che il mondo della nutrizione raccomanda spesso di aumentare il consumo di pesce, in particolare di quello che arriva dai mari del nord.
Secondo la medicina ufficiale, il rapporto tra questi due acidi grassi e i loro livelli sembra essere importante per prevenire o trattare alcune patologie: diabete di tipo 2, patologie coronariche, ipertensione, disordini immunitari, e altro ancora.

Indicazioni “ufficiali” riportano alcuni consigli e avvertenze:
Per un corretto quantitativo di Omega 3 sarebbe opportuno  consumare almeno due o tre porzioni di pesce a settimana. Bisogna però tenere presente che alcuni sistemi di cottura come ad esempio la frittura possono annullare i benefici degli Omega 3.
Essi, infatti, sono grassi insaturi e quindi estremamente instabili e degradano facilmente quando sottoposti ad una cottura prolungata o troppo violenta.
I tipi di cottura indicati per mantenere il più possibile le caratteristiche utili degli Omega 3 sono quindi la bollitura e la cottura al forno.
In commercio esistono anche alimenti a cui vengono aggiunti Omega 3, chiamati dagli americani "nutriceutical", sono prodotti che si posizionano tra l'alimento e il farmaco. Il latte arricchito con Omega 3 ne è un classico esempio così come le uova addizionate delle stesse sostanze.
La maggior quantità di Omega 3 la si trova negli oli: sopratutto nell'olio di pesce e nell'olio di lino. Ricordo che come tutti gli oli, ma sopratutto quello di lino andrebbe consumato solo a crudo poiché le alte temperature alterano gli Omega 3 (e non solo), facendogli perdere le loro proprietà.

Gli omega tre sono contenuti nella frutta secca, sopratutto noci ed arachidi (che sono legumi), in alcune alghe e anche se in misura minore in latte uova pane e cereali.
Alimenti per 100gr:
Olio di semi di lino - 50
Semi di Chia - 20
Olio di salmone - 19
Olio di fegato di merluzzo - 11
Caviale - 6,5
Sardine - 4
Soia - 3,2
Sgombero - 2,6
Sardine - 1,7
Acciuga - 1,4
Salmone - 1,4
Noci - 1
Olio di oliva - 0,7
Per un’indicazione più completa sui cibi che contengono gli Omega 3 ecco un link dove trovare una tabella abbastanza completa:
http://www.valori-alimenti.com/cerca/acidi-grassi-polinsaturi.php



Effetti collaterali e controindicazioni


Ancora oggi nel campo medico-nutrizionista è diffusa l’idea che il grasso saturo sia sempre nocivo, mentre quello polinsaturo sia sempre benefico, in linea di massima ciò è vero, però non è così semplice come sembra.
Molte persone e medici sono concentrati su gli ultimi studi riguardo gli Omega 3 e sui loro benèfici effetti, però queste ricerche non prendono in considerazione per niente i possibili effetti collaterali, e sono tanti.
Anche le linee guida ufficiali ammettono però che nonostante i benefici, un consumo eccessivo (oltre i 3 gr al giorno) di Omega 3 presenta molte controindicazioni, spesso procurano gravi disagi a chi ne fa un consumo insensato.

Approfondiamo alcuni importanti concetti base.
Il maggior effetto dannoso provocato dai PUFA è la capacità durante lo stress ossidativo da carenza di vitamina E, di accelerare la formazione di lipofuscina o ceroidi, conosciuti come il “pigmento della vecchiaia”.
Gli Omega 3 in associazione alla lipofuscina possono provocare la degenerazione delle gonadi e del cervello.
Si sostiene anche che la vitamina E potrebbe prevenire alcuni degli effetti tossici causati dagli EPA, questo farebbe percepire la vitamina E come un essenziale antiossidante. Purtroppo però, hanno scoperto che l’effetto protettivo della vitamina E contro il PUFA è parziale e poco rilevante.

Il pericolo acroleina
É altresì noto che tutto ciò che esaurisce l’energia della cellula abbassando l’ATP, crea una situazione in cui nella cellula vi è un eccesso di calcio e questo contribuirebbe alla sua morte. Un’aumento di calcio intracellulare innesca la fosfolipasi e ciò rilascia grassi polinsaturi come l’acroleina, la stessa che viene rilasciate durante la perossidazione lipidica.
Questo fatto inibisce la funzione del mitocondrio e porta ad un avvelenamento della respirazione enzimatica (la citocromo ossidasi) e quindi ad una ridotta capacità di produrre energia.
L’acroleina reagendo con il DNA provoca anche danni “genetici”: essa infatti reagendo con la lisina delle proteine, aumenta la tossicità delle lipoproteine ossidate a bassa densità (LDL), cioè le proteine che trasportano il colesterolo. Le LDL sono famose perché coinvolte nello sviluppo dell’aterosclerosi, una patologia provocata sopratutto dal consumo di grassi saturi.
Si è riscontrato anche che gli Omega 3 nella retina possono alterare tramite la luce, la capacità di produzione di energia delle cellule. Questo porta al degrado dello stesso enzima cruciale e inibisce la capacità delle cellule nervose di produrre energia dall’ossidazione del glucosio.
L’acroleina è capace d’inibire la capacità delle cellule di regolare l’aminoacido eccitatori glutammato, infatti alti livelli di acroleina (e di altri elementi di degradazione PUFA) sono stati rilevati nel cervello di pazienti sofferenti di Alzheimer.
Il metabolismo dei grassi e la preordinazione lipidica sono associati anche alle malattie degenerative: degenerazione retinica, Alzheimer, malattia epatica (alcolica e no), diabete, epilessia, AIDS, oltre a molti altri problemi circolatori provocati sempre da prodotti di degradazione dei PUFA.
I maggiori prodotti nocivi derivanti dalla decomposizione dei PUFA sono: acroleina, etano, pentano, malondialdeide, idrossinonenale, crotonaldeide e le neuroprostanes.
Queste molecole - prostaglandina-simili - sono formate da DHA a mezzo radicali liberi prodotti dalla perossidazione lipidica; come visto, si formano specialmente nel cervello sopratutto nei casi di persone colpite dall’Alzheimer.
Se il nostro organismo non ha abbastanza glucosio, dai tessuti vengono rilasciati acidi grassi liberi e la loro ossidazione interrompe l’ossidazione del glucosio.
I maggiori effetti collaterali legati all’assunzione di Omega 3, li troviamo però negli integratori a base di olio di pesce o olio di merluzzo.



Integratori Omega 3: olio di pesce


L’industria alimentare/mediatica ha negli ultimi anni bombardato l’opinione pubblica con campagne aventi l’obiettivo “salutistico” d’incrementare il consumo di acidi grassi; infatti, oggi molte persone sono convinte che gli Omega 3 siano una facile soluzione per prevenire o curare molti malanni.

Presunti benefici
Gli effetti tossici degli “acidi grassi essenziali” (linoleico, linolenico e arachidonico) stanno per essere riconosciuti, ma nel frattempo molti esperti sostengono l’utilità di altri “acidi grassi essenziali”: gli Omega 3. Si vocifera che gli Omega 3 con lunghe catene che si trovano negli oli di pesce, aiutino i bambini ad essere più intelligenti, sono necessari per buona visione, prevengono i tumori, la depressione, le malattie cardiache, la demenza, l’obesità, l’artrite, la depressione, l’epilessia, la psicosi, la demenza, le ulcere, l’eczema e la pelle secca. Insomma, sembrerebbero essere miracolosi.
A fronte di tutti questi presunti benefici, però, i media mettono come unica fonte di nutrimento di Omega 3 il pesce. L’industria ittica ringrazia, sardine ed alici, sull’orlo dell’estinzione un po’ meno e anche noi non dovremmo ringraziarla.
I benefici derivanti dall’assunzione di Omega 3 da fonti animali, infatti, sono molto inferiori alle conseguenze negative di un’alimentazione carica di proteine animali e acidi saturi, non assenti nel pesce.
É vero che i pesci nordici sono ricchi di grassi insaturi, la cosa non è altrettanto vera per quei pesci che giungono sulle nostre tavole grazie all’allevamento. Per accelerarne la crescita, infatti, questi ultimi vengono spesso nutriti con mangimi animali ricchi di grassi saturi e ciò comporta un drastico crollo delle percentuali di acidi insaturi rispetto agli acidi saturi.

Fonti ufficiali confermano che troppo olio di pesce (oltre i 10 Gr al giorno) possa provocare una serie di effetti collaterali, alcuni dei quali piuttosto gravi.
É vero che gli oli di pesce possono fornire utili vitamine, A e D, ma è altresì certo, che sopratutto l’olio di fegato di merluzzo viene altamente ossidato nei tessuti, semplicemente a causa della normale quantità di vitamina E presente nella dieta.
Molti ricercatori identificano soltanto due acidi grassi veramente essenziali: l’acido arachidonico (AA) del gruppo degli Omega 6 e l’acido docosaesaenoico (DHA) del gruppo degli Omega 3.
Sono entrambi, fino ad un certo punto, costituenti necessari delle membrane cellulari; devono però essere equilibrati l’uno all’altro.
L’acido eicosapentaenoico (EPA), che si trova nell’olio di pesce, non essendo un EFA (EFA, dall'inglese Essential Fatty Acids) causa problemi, poiché troppo EPA può aggravare alcuni sintomi dati proprio da una carenza di EFA.

La quantità necessaria di EFA per mantenerci in salute è bassissima.
La quantità di EFA necessari al nostro organismo sono estremamente bassi, la massimo lo 0,5% delle calorie, e questo durante la crescita. Solitamente la necessità di un loro apporto è molto limitato: la maggior parte dei grassi, saturi e non, contengono vari tipi di acidi grassi, ed è praticamente impossibile indurre una carenza di EFA  attraverso una qualsiasi alimentazione.
l’AA è uno dei due acidi grassi essenziali, può essere sintetizzato nel nostro organismo dall’acido linoleico (LA), mentre il DHA può essere sintetizzato dall’acido alfa-linoleico (ALA).
Quindi è sufficiente fornire soltanto AA e ALA nella dieta. Bisogna considerare anche il fatto che le famiglie Omega 3 e Omega 6 sono in competizione per l’utilizzo dei medesimi enzimi (necessari nel processo di conversione).
Dato che non possediamo nessun meccanismo di regolazione utile a controllare questa competizione enzimatica, un eccesso di Omega 3 può causare una deficienza di Omega 6 o viceversa.
Tra l’altro un sovraccarico di PUFA diminuisce sensibilmente la produzione di tali enzimi aumentando così la competizione enzimatica.
Ricordo che DHA e AA forniti direttamente nella dieta non richiedono enzimi per la conversione.
Il nostro organismo è comunque in grado di controllare i rapporti dei tessuti cellulari, ma solo finché i PUFA rappresentano una piccolissima percentuale della dieta.
E questo fa pensare alla reale utilità degli omega per il corretto funzionamento del nostro organismo.

Ossidazione
I PUFA stessi contribuiscono allo stress ossidativo nel corpo poiché la reazione tipica dell’ossidazione richiede due doppi legami (sono esclusi quindi i mono-insaturi e i grassi saturi). Come già detto l’organismo non può completamente attenuare questo fenomeno pur in presenza elevata di antiossidanti come la vitamina E.
Quindi, un eccesso di PUFA provoca per via dell’ossidazione, un’infiammazione generale nel nostro corpo.
Alcuni oli sono talmente instabili da iniziare ad ossidarsi spontaneamente prima ancora di raggiungere il flusso sanguigno. Uno dei prodotti derivanti dalla decomposizione degli “oli di pesce” nel cervello è la Acroleina. Questa è il prodotto più reattivo che si nota durante la perossidazione dei lipidi nel cervello. Questa situazione sarebbe tale da provocare la glicazione di lisina nelle placche che formano le proteine.
Gli effetti tossici dell’acroleina provocati nel cervello sono simili ai molti effetti tossici causati dagli acidi grassi Omega 3 e dei loro prodotti di degradazione, in tutti gli altri tessuti e organi del nostro organismo.
Le cellule tumorali presentano un’insolito grado di resistenza alle azioni letali dei perossidi lipidici, questo è uno dei motivi per cui alcuni ritengono i PUFA utili nel combattere o prevenire i tumori. Però è anche riconosciuto che gli effetti infiammatori provocati dagli acidi grassi insaturi sono essenzialmente coinvolti nel processo di cancerizzazione.

Ricerche approssimative

Consideriamo il fatto che gli esperimenti atti ad evidenziare eventuali effetti utili dell’olio di pesce ossidato (immunosoppressori e antinfiammatori) sono di breve durata, settimane o pochi mesi. In questo arco temporale non c’è sufficiente tempo per notare lo sviluppo di eventuali tumori.
Nello stesso modo anche i trattamenti a raggi X sono stati utilizzati negli anni passati per alleviare condizioni infiammatorie. Purtroppo la maggior parte dei medici favorevoli al trattamento tramite raggi x sono andati in pensione prima che i loro pazienti accusassero le conseguenze fatali di quel tipo di trattamento: atrofia, fibrosi e cancro.
L’integrazione con olio di pesce è solo una moda nociva come lo era quella dei raggi x.
Sempre negli anni ’70 alcuni studiosi hanno notato che gli animali ai quali è stato aggiunto olio di pesce nel cibo erano vissuti più a lungo. Questo fatto sembra di per sé interessante, se non fosse che qualcuno ha notato che gli animali ai quali veniva aggiunto olio di pesce non erano particolarmente attratti da quel puzzolente olio, quindi mangiavano molto meno rispetto agli altri animali ai quali non fu aggiunto nessun tipo di olio di pesce.
La longevità maggiore riscontrata negli animali che consumavano olio di pesce è in realtà da collegarsi alla minor quantità di cibo consumato con il relativo ridotto di apporto calorico. Meno si mangia (entro certi limiti), più si vive. Non a caso non esistono obesi vecchi e gli ultra-centenari di tutto il mondo hanno tutti una caratteristica in comune: mangiano molto poco.

Troppi interessi dietro la ricerca scientifica
Se consulenti ben pagati ignorano più o meno volontariamente, le valide ricerche pubblicate su riviste medico scientifiche ritenute importanti, c’è il rischio di confondere l’opinione pubblica, o di manovrarla per scopi economici, come purtroppo capita in molti settori.
Quando per esempio s’ignorano alcune scoperte solo perché sarebbero dannose per l’industria dell’olio di pesce, s’innesca tutta una serie di conseguenze: notiamo che gli orientamenti politici stabiliti dall’industria e dai suoi agenti nel governi diventano subito chiare.
Per oltre cinquant'anni, la maggioranza delle pubblicazioni mediche riferite agli estrogeni non erano altro che la campagna dell’industria farmaceutica atta ad ottenere fraudolentemente miliardi di dollari di sovvenzioni. Chi ha avuto la voglia di analizzare la provenienza di queste “ricerche” ha notato che gli autori e gli editori facevano tutti parte di una “setta”.
Nessuno di loro è stato riconosciuto come ricercatore autonomo e indipendente.
Lo stesso discorso è valido anche per tante altre problematiche relative alla salute, in questo momento siamo nel periodo in cui un certo settarismo medico-industriale-governativo, è incline a promuovere l’uso di grassi polinsaturi, sia come farmaci, sia negli alimenti.
I fautori degli Omega 3 sostengono che esiste una correlazione tra malattia e la quantità ridotta di EPA, DHA, o acido arachidonico nei tessuti.
Sostengono quindi che la malattia possa essere causata da una carenza di acidi grassi essenziali. Non tengono conto del fatto che come abbiamo già analizzato, tali oli sono estremamente sensibili all’ossidazione e hanno la tendenza a svanire spontaneamente in risposta al danno tissutale,  oppure alle richieste di energia causate da aumento dello stress, da un’esposizione a tossine o radiazioni ionizzanti, o anche l’esposizione alla luce.
Non a caso è proprio l’ossidazione spontanea che ha reso utili questi oli come vernici, ma la stessa caratteristica rende i tessuti sensibili al danneggiamento. É quindi evidente che la loro “carenza” nei tessuti corrisponde all’intensità di stress ossidativo e perossidazione lipidica: in sostanza è proprio la loro presenza in eccesso che ha provocato la disposizione per la malattia.
La “barriera” tra il il sangue e il cervello è considerata una delle barriere vascolari più efficaci nell’organismo, nonostante ciò sembra essere molto permeabile agli oli, infatti, alcuni ricercatori hanno scoperto che la perossidazione lipidica la sconvolge, danneggiando l’ATPasi che regola sodio e potassio.

Attenzione a come si interpretano i dati
Esiste un metodo che aiuta a valutare con più attenzione gli studi pubblicati sulle riviste specializzate: quello di capire se in questi articoli viene riportato tutto quello che è stato veramente fatto e tutto quello che c’è da sapere per eventualmente replicare il medesimo esperimento.
A volte basta osservare se le informazioni rese pubbliche sono sufficienti per trarre le conclusioni che gli stessi ricercatori hanno riportato. Se utilizziamo questi principi critici possiamo notare come la maggior parte delle “pubblicazioni scientifiche” sull’endocrinologia, sulla nutrizione, sul cancro e su altre malattie degenerative non sono poi così tanto scientifiche.
Per esempio negli esperimenti nutrizionali con l’olio di pesce, i controlli dovrebbero ricevere un simile apporto di vitamine A, D, E e K, inoltre per un confronto corretto dovrebbero includere diete senza grassi. Ma così non è.
La FDA dichiara EPA e DHA sicuri, ma si è “dimenticata” di valutare i loro effetti negativi, questi acidi grassi infatti sembrano essere: anti-tiroidei, foto sensibilizzanti, immunosoppressori, lipido perossidativi, antimitocondriali, deprimenti l’ossidazione del glucosio e il loro contributo al carcinoma metastatico del colon, ecc.

Ecco alcuni principali problemi correlati ad un eccessivo consumo di olio di pesce:
√ L’olio di pesce se consumato in grande quantità gli Omega 3 possono rompere i coaguli di sangue e impedire alle piastrine di raggrupparsi. Gli eschimesi, infatti sono noti per soffrire di questo effetto collaterale proprio per il fatto che la loro alimentazione è molto ricca di olio di pesce naturale.
√ Un eccessivo e continuativo consumo di olio di pesce  aumenta anche il rischio di emorragia indotta, sangue nelle urine e anche sangue dal naso.
√ Mangiando pesce o assumendo il suo olio vi è sempre la possibilità di inserire anche metalli tossici come mercurio, PCB e altri. Chi consuma pesce fresco è più facilmente contaminato da questi metalli rispetto alle persone che consumano olio di pesce in forma di supplemento. Questo è dovuto al fatto che durante la lavorazione per ottenere l’olio, si usano dei filtri proprio per abbassare la concentrazione di questi metalli.
√ L’olio di pesce se consumato per più di 8 grammi al giorno, può anche provocare fastidiosi bruciori di stomaco.
√ Molte ricerche hanno dimostrato che il consumo di olio di pesce oltre i 6 grammi al giorno, può compromettere il sistema immunitario aumentando così il rischio di infezione. Un aspetto che le persone anziane o i malati che assumono olio di pesce non dovrebbero sottovalutare,  visto che il loro sistema immunitario è già compromesso anche per altri motivi.
√ Gli individui allergici ai frutti di mare dovrebbero porre particolare attenzione al consumo di olio di pesce in quanto può scatenare simili reazioni allergiche.
√ Chi soffre di disturbo bipolare ha riscontrato un peggioramento dei sintomi subito dopo il consumo di pesce.
√ I diabetici non dovrebbero utilizzare olio di pesce poiché vari studi hanno rilevato come un consumo d’olio di pesce possa causare aumenti imprevedibili dei livelli di zucchero nel sangue.

Ma c’è di più:

Il Prof. Brian Peskin, è un ricercatore specializzato in EFA (Essential Fatty Aci), da lui rinominati PEOs (Parent Essential Oils, -oli essenziali precursori-) e ha dimostrato il loro rapporto diretto con i tumori e le cardiopatie.
I lavori in corso di Peskin, seguiti secondo schemi rigorosamente scientifici come la fisiologia, possono essere trovati nei suo lavori seminali in numerosi articoli pubblicati su riviste mediche.
Non per niente molti medici in tutto il mondo stanno convalidando le raccomandazioni del prof. Peskin sugli EFA.
Per molti anni il prof. Peskin ha raccomandato di sospendere l’integrazione a base di olio di pesce per favorire un rapporto biologicamente più adeguato di Omega 6 e Omega 3.
Solo ultimamente le suo opinioni al riguardo sono ascoltate, accettate e riconosciute valide da molti professionisti; purtroppo però, come succede spesso in questi casi, non ancora da tutti. É per questo che molti medici o nutrizionisti non aggiornati sui nuovi studi compiuti dopo il 2010, continuano a sostenere l’utilità d’integrazione di Omega 3.



Nuove ricerche, Omega 3 vegetali


Ho notato che circa l'assunzione di omega tre sono nate molto controversie, alcuni studi hanno infatti dimostrato che il pesce ne contiene quantità davvero basse, mentre il mondo vegetale rispetto a quello animale ne è molto più ricco.
Vediamo ora alcune recenti ricerche scientifiche che hanno evidenziato la differenza tra acidi grassi provenienti dal mondo vegetale e da quello animale.
Nel 2010 in Gran Bretagna è stata compiuta una ricerca scientifica che ha coinvolto circa 20.000 persone, in seguito pubblicata sull'American Journal of Clinical Nutrition: la ricerca dimostra che l’assorbimento di Omega 3 è molto più efficiente se di provenienza vegetale.
Durante questo studio è emerso che gli individui che seguono una stretta alimentazione vegetariana, vale a dire escludendo qualsiasi prodotto animale compresi i pesci, sono in grado di ricavare gli Omega 3 a lunga catena (presenti nei prodotti ittici) dagli acidi grassi Omega 3 vegetali; tali grassi sono importanti per le funzioni metaboliche dell’organismo e possono essere introdotti tramite la dieta vegetale senza ricorrere all’assunzione di pesce.
É già noto da tempo che gli Omega 3 sono più facilmente assimilabili da un’alimentazione a base di vegetali, piuttosto che da una dieta a base di pesce come la maggior parte delle persone erroneamente ritiene.

Il pesce per di più, contiene Omega 3 in quantità notevolmente minore di quanto si creda poiché con la cottura questi acidi grassi diminuiscono considerevolmente.
Questa nuova ricerca dunque, è un'ulteriore conferma che la fonte privilegiata di Omega 3 sia proprio quella riscontrabile in alimenti di origine vegetale.
Lo studio britannico dimostra che l’organismo delle persone vegane si adegua alla mancanza di grassi derivanti dal pesce incrementando la velocità di conversione in EPA e DHA dagli Omega 3 assunti con i vegetali (ALA). Lo stesso team britannico recentemente ha pubblicato un più ampio studio che conferma quelli che erano i sospetti che l’organismo sia in grado di produrre EPA e DHA dagli Omega 3 ALA in quantità più che sufficienti: si è riscontrata una produzione maggiore di quello che si pensava, infatti, i ricercatori hanno trovato nel sangue degli individui esaminati meno differenza di quanto previsto di EPA e DHA nonostante le grandi differenze nel loro apporto di Omega 3 derivato da alimenti diversi.
I nuovi risultati provengono da un gruppo di ricerca guidato da Ailsa Welch presso l’università britannica di East Anglia. In precedenza ci sono stati piccoli studi metabolici volti a determinare il grado di conversione di dieta ad ALA in EPA e DHA, ma questo sembra essere il primo studio effettuato su una popolazione di grandi dimensioni con abitudini alimentari diverse.
Ciò che lo studio britannico ha dimostrato, è qui sinteticamente riassunto: lo studio ha riguardato 14.422 uomini e donne di età compresa tra i trentanove e i settantotto anni, tutti partecipanti ad una ricerca sul rischio di cancro; in seguito furono selezionati 4.902 persone alle quali era stato esaminato il livello ematico di grassi acidi.
Il Dott. Welch e i suoi collaboratori suddivisero gli individui in “mangiatori di pesce”, in carnivori escluso il pesce, in vegetariani e in vegani comparando i rispettivi valori ematici di ALA, EPA e DHA.
I mangiatori di pesce grazie alla loro dieta assunsero dal cinquantasette all’ottanta per cento in più di Omega 3 rispetto a chi seguiva diete prive di pesce, tuttavia le differenze riscontrate nei livelli ematici di DHA e EPA nei quattro gruppi di persone, furono minime.
Il livello di EPA per chi si era nutrito di prodotti ittici era di 64,7 micromoli (µmol/L) per litro rispetto ai 57 (µmol/L) dei carnivori, ai 55 (µmol/L) dei vegetariani e 50 (µmol/L) dei vegani.
Nel frattempo il livello medio di DHA riscontrato fu di 271 (µmol/L) per chi mangiava pesce, 241 (µmol/L) per i carnivori, 223 (µmol/L) per i vegetariani e un valore addirittura superiore di 286 (µmol/L) per i vegani.
Questa ricerca conferma gli studi del passato che mostrano una conversione maggiore di ALA in EPA e DHA nelle donne rispetto agli uomini e a tassi di conversione più elevati in “non mangiatori di pesce”, rispetto a chi include prodotti ittici nella propria dieta.
I ricercatori hanno così scoperto che nonostante la grande differenza tra le diete con o senza pranzi a base di pesce, i valori di Omega 3 utili, cioè EPA e DHA riscontrati nel plasma, sono pressoché uguali, con differenze così piccole che inducono gli scienziati a ritenere che la maggior conversione avvenga proprio tra chi non assume direttamente EPA e DHA dal cibo, ma che li trasformano dagli ALA contenuti nei vegetali.

È quindi inutile mangiare carne di pesce per procurarsi gli Omega 3 necessari, meglio ricorrere a fonti alternative e salutari come i vegetali.
Altri studi mettono in guardia sull’uso degli integratori di Omega 3: gli acidi grassi Omega 3 derivanti dal pesce (DHA e EPA) spesso sono venduti come integratori in capsule di olio di pesce, ma recentemente alcuni ricercatori hanno “scoperto” che non sono così salubri come molti credono e anzi, risultano essere estremamente dannosi per la nostra salute.
Uno studio pubblicato sull'American Journal of Epidemiology condotto dal Dott. Theodore M. Brasky (Seattle, USA 2011), è causa di profondi ripensamenti tra i consumatori abituali di prodotti ittici, soprattutto tra gli uomini che assumono tali integratori in capsule.
La ricerca ha dimostrato anche che gli individui con un maggior valore ematico di DHA, sono più a rischio di incorrere in tumori alla prostata.
La ricerca fu condotta esaminando 3.461 pazienti durante uno studio per la prevenzione del tumore alla prostata: tra gli individui esaminati si scoprì che chi mangiava pesce o assumeva integratori di Omega 3, è fino a due volte e mezzo più a rischio di sviluppare il tumore alla prostata; maggiore è il livello di DHA nel sangue, maggiore è il rischio di tumore alla prostata.
Altri studi hanno sconfessato i pubblicizzati “benefici dell’olio di pesce”, infatti, tali ricerche non hanno mai avuto dei seri riscontri in merito ai supposti benefici.
Nessun “miracolo” promesso da un integratore di Omega 3 si è mai riscontrato scientificamente poiché tale capsula non aiuta i malati di cuore, non aiuta a curare o prevenire l’Alzheimer, non combatte la depressione e non sembra potenziare l’intelligenza nei bambini.
Nel 2005 sul Journal of the American Medical Association (JAMA), comparve un articolo riguardante uno studio che rilevava come il supposto vantaggio contro l’aritmia cardiaca dovuto al consumo di olio di pesce, in realtà in alcuni pazienti ne peggiorava la situazione.
Nel 2006, la stessa rivista pubblicò un resoconto di ben trentotto studi scientifici riguardanti la relazione tra acidi grassi Omega 3 e i casi di cancro, tutte queste ricerche portarono alla stessa conclusione: l’olio di pesce è completamente inutile per la prevenzione di tumori.
Secondo un’analisi effettuata nel 2009 su cinquemila individui (Rotterdam Study), una dieta ricca di pesce o integratori di EPA e DHA, non riduce minimamente neppure i problemi d’insufficienza cardiaca. Su cinquemila pazienti sotto controllo medico colpiti da infarto miocardico, non si notarono differenze in merito a nuovi eventi cardiovascolari tra coloro ai quali fu prescritto l’uso di integratori di Omega 3 e chi invece assunse un placebo: i dettagli di questo studio si possono trovare in un articolo pubblicato nel 2010 sul New England Journal of Medicine.
Sorpresero invece i risultati di uno studio condotto da ricercatori dell'Harvard School of Medicine: nel 2009 questi studiosi trovarono una connessione tra consumo di pesce o l’uso di integratori Omega 3 EPA e DHA, e il diabete di tipo2.
I ricercatori analizzarono per circa diciotto anni duecentomila adulti evidenziando che tra questi, gli individui che furono colpiti da diabete di tipo2, erano i maggiori consumatori di prodotti ittici o di integratori Omega 3 (Kaushik, 2009).

Presunto aumento d’intelligenza
I produttori di olio di pesce alla luce dei nuovi dati scientifici a loro sfavorevoli, puntarono tutto sull’effetto “intelligenza” che tale integratore elargirebbe.
Nel 2010 però anche questa infondata credenza fu confutata da un successivo studio: durante due anni di analisi su 867 anziani fu somministrato a metà di loro un integratore di olio contenente DHA e EPA, mentre all’altra metà fu somministrato un placebo a base di olio d’oliva; alla fine del lungo periodo di osservazione, non fu rilevata nessuna differenza in termini di funzioni cognitive tra i due gruppi di pazienti.
Un’altra ricerca pubblicata sul JAMA (Quinn, 2010), ha sconfessato il fatto che i supplementi di Omega 3 (in questo caso, DHA) siano capaci di rallentare l'atrofia cerebrale e il declino mentale nei malati di Alzheimer.
Un altro studio pubblicato sempre su JAMA ha dimostrato come il consumo di olio di pesce per le donne in gravidanza, non migliori assolutamente il successivo sviluppo cognitivo del neonato nel corso dell'infanzia e nemmeno la riduzione di depressione post-partum della madre.
Potrei continuare per settimane a riportare studi di questo tipo, ma andiamo avanti…



Cosa fare in merito all’assunzione di Omega 3?


Leggo e sento spesso consigli in campo nutrizionale come questo: “Sarebbe meglio seguire un'alimentazione varia ed equilibrata caratterizzata da un apporto sia qualitativo,  sia quantitativo dei singoli nutrienti utili.”
Frasi come questa vengono ripetute da molti esperti della nutrizione anche in merito alla validità o meno di un’integrazione di Omega 3, ma non significano nulla: dicono semplicemente di mangiare un po’ di tutto ma in dosi ridotte, il consiglio è anche giusto, ma non risolve nessun tipo di problema.
É sicuramente meglio mangiare poco, sopratutto quando si ingeriscono cibi che in realtà per in nostro organismo sono “veleni”, ma se non si identificano con certezza quali sono gli alimenti veramente dannosi e quali sono quelli veramente utili al nostro organismo, non si otterranno mai veri benefici derivanti da scelte alimentari così vaghe.
Personalmente non mi preoccuperei molto degli Omega 3. Qualsiasi dieta si segua non necessita di essere integrata con ulteriori acidi grassi, sopratutto se derivati dall’olio di pesce.
Anche chi segue regimi alimentari considerati più restrittivi come quelli vegani, crudisti o fruttariani, non presenta mai vere carenze dovute alla presunta mancanza di Omega 3.
Se presenta delle carenze sono dovute ad un mal assorbimento di alcuni nutrienti e questo è quasi sempre provocato dal consumo di alimenti tossici che impediscono o rallentano l’assorbimento di alcuni nutrienti essenziali.

Non ci manca nulla
In nostro organismo è perfettamente capace di produrre gli Omega 3 utili (DHA e EPA) da cibi di origine vegetale: questo meccanismo ci aiuta a regolare autonomamente la quantità di acidi grassi in base alle reali necessità. Perciò ritengo inutile dover subire i danni causati da un eccesso di DHA e EPA che oltre a essere completamente inutile nel prevenire l’insorgere di malattie, spesso ne sono i fautori.
É ormai chiaro che qualsiasi alimento, persino la mela contiene una (se pur piccolissima) quantità sufficiente di acidi grassi essenziali, da i quali il nostro organismo “attinge” secondo le esigenze. Inoltre le mele quando sono consumante regolarmente aiutano anche a ridurre il colesterolo cosiddetto “cattivo” (LDL) e aumentano quello buono (HDL); sono quindi molto utili anche nella prevenzione di ictus e tumori.
Non è quindi necessario “scomodare” (meglio dire uccidere) i pesci. Se proprio si vuole o si è ancora convinti di dover assumere un maggior apporto di acidi grassi Omega 3, è sicuramente meglio stare su noci e frutta secca, oppure sull’avocado.
In qualsiasi caso è preferibile non esagerare con nessun grasso, perché gli eventuali benefici sono minori degli effetti collaterali, sopratutto sul medio-lungo termine.
Ho trovato centinaia di ricerche sugli effetti collaterali degli Omega 3 e dei PUFA in generale, oltre a quelle finora riportate, ma pur essendo tutte molto interessanti a questo punto credo sia inutile e noioso riportarne altre.



Riflessioni personali


Vorrei fare un’ultima riflessioni in merito ad alcune ricerche “scientifiche” pubblicate verso la fine degli anni ’90 che hanno mitizzato gli Omega 3.

I trucchi mediatici
La maggioranza di questi studi ha usato il trucco delle percentuali relative esagerando così i risultati ottenuti in merito agli effetti positivi riguardo il consumo di Omega 3.
Il trucco delle percentuali relative e in realtà spesso usato  anche in altri studi scientifici che riguardano la nostra salute: utilizzare le percentuali relative anziché quelle assolute è facile e sopratutto da ai risultati molta più enfasi.

Vediamo un esempio:
Ipotetica ricerca su un campione di venti soggetti in sovrappeso di circa 8 kg (peso medio rilevato 90 Kg).
La ricerca non ha presentato significativi miglioramenti dovuti ad un certo programma che si presumeva fosse valido. Per evitare di spendere altri soldi per effettuarne un’altra, gli studiosi (spinti a volte dai manager delle aziende che hanno finanziato quella determinata ricerca) cosa fanno? Usano le percentuali relative per presentare i risultati del loro studio.
In questo esempio il dimagrimento è stato di soli 0,8 kg.  in 8 mesi, il che non è particolarmente interessante. Ma quando i ricercatori dichiarano che con questo programma di otto mesi si riduce il sovrappeso del 10%, gli effetti mediatici risultano essere molto diversi.
Chi riceve solo l’informazione del 10% di riduzione di peso probabilmente capisce male perché il reale dimagrimento è stato soltanto di 0,8 kg.
Dichiarando una riduzione del 10% si è portati a pensare che il calo di peso da 90 kg sia arrivato a 81 in otto mesi, rendendo questo programma interessante.
Quando si dichiara che il sovrappeso è diminuito del 10% ci si riferisce alla riduzione in percentuale del sovrappeso, che in questo caso era di 8 kg. e non della riduzione del peso totale che in verità è calato in media meno dell’1%.
Il mito degli Omega 3 è nato anche grazie a questo tipo di stratagemma. Pubblicare (o pubblicizzare) studi scientifici utilizzando trucchi mediatici come questo non è certo corretto.
Uno dei pilasti che mantengono in vita il business degli Omega 3 riguarda come ho già scritto, il fatto che negli eschimesi la morte causata da patologie cardiache risulti più bassa per merito degli Omega 3 (anche se è tutto da dimostrare).
Ma anche se fosse vero, si tratta solamente di una mezza verità, l’atra metà ci dice che gli stessi eschimesi presentano una mortalità maggiore per emorragia cerebrale. Il motivo? Semplice, gli Omega 3 rendono il loro sangue talmente fluido da provocare nel tempo tale emorragia.

Non perdiamoci nei numeri
Consideriamo anche il fatto che nei confronti del cibo ognuno di noi ha reazioni differenti, come ad esempio il grado di assorbimento di una certa sostanza. Gli stessi alimenti inoltre presentano caratteristiche che possono variare nel tempo come ad esempio il grado di maturazione di frutta o verdura. Altri fattori influiscono sulle reali caratteristiche nutrizionali di ogni singolo alimento, la marca, i processi di produzione, il luogo di origine, ecc.
Mi sembra inutile, voler calcolare le eventuali proprietà di ogni singolo alimento che si mangia, se poi i dati di partenza sono approssimativi.
Non mi preoccuperei troppo degli Omega 3, ma piuttosto della scelta alimentare nel suo complesso. Prima di discutere di un singolo elemento come gli acidi grassi, cerchiamo di capire cosa dovremmo mangiare e cosa no.
Nel nostro libro “La Frutta che Paradiso”, abbiamo cercato di chiarire in maniera più ampia quali siano tutti gli aspetti che rendono alcuni cibi utili e altri dannosi per la nostra salute.
Spero con questo report, di aver soddisfatto la curiosità di chi voleva informazioni più precise (anche se sintetiche) sull’utilità o meno dell’integrazione a base di Omega 3.

Autore Articolo Diego Pagani:
“Purtroppo (o per fortuna) non sono un medico, un dietologo o un nutrizionista, sono soltanto un ricercatore indipendente, non ho né il titolo né il permesso legale di consigliare niente a nessuno, l’unica cosa che posso raccomandarvi e quella di informarvi, informarvi e informarvi ancora.” (Diego Pagani)




Fonte:
http://lafruttacheparadiso.blogspot.com.es/2015/05/omega-3-benefici-e-controindicazioni.html


il sito: http://lafruttacheparadiso.com

http://www.lafruttacheparadiso.com/ebooks/omega-3.pdf

sunny
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OMEGA 3, MITI E VERITA'
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